gioia on: pierluigi on: luca casarini (e altro + altro)

10 dicembre 2009

Caro Pierluigi,

tu dici: “In realtà ci sei, esisti, non sei da solo, e nemmeno in pochi, semplicemente ti hanno reso invisibile”. Certo. Dover tentare di strappare un minimo di visibilità a chi ha in mano televisioni, case editrici, giornali, ecc. non è facile, così come ottenere la medesima attenzione offerta dai media a un partito per esempio come il Pd. I vostri partiti di riferimento, i partiti cioè in cui il movimento era confluito, per quanto concerne l’elettorato, erano piuttosto Rifondazione comunista e i Verdi. Bertinotti e Pecoraio Scanio avevano poca visibilità? Se paragonata a quella di un Berlusconi, di un D’Alema o di un Veltroni, sì, ovvio. Ma non erano invisibili. Bertinotti al tg, sui giornali, lo si vedeva. Era spesso a “Porta a Porta”, luogo orrendo, dove ogni politico che si rispetti non manca di presenziare. Ma si sa, la comunicazione ha le sue regole.

Se Rifondazione ha perso tanto di quell’elettorato da non comparire più nemmeno in Parlamento, la colpa, temo, non è solo della sua “invisibilità”, ma di scelte strategiche sbagliate. Per carità, è anche vero che l’elettorato italiano è immaturo, si fa abbindolare dal populista di turno, però fatto sta che la Lega si è presa buona parte dei voti di Rifondazione. Ora dovrei fare una lunghissima digressione sull’evoluzione politica del “Nordest” (termine quanto mai generico e semplicistico) dal 1948 in poi. Soprassiedo, rimandando a qualche libro di storia (consiglio, tra gli altri, C. FUMIAN, A. VENTURA (a cura di), Storia del Veneto, Laterza, Bari, 2000 e S. LANARO (a cura di), Il Veneto. Storia d’Italia. Le regioni, Einaudi, Torino, 1984), dando per scontato che tu sia a conoscenza della morfologia politica di questa zona.

Comunque, il movimento NON è Rifondazione, perciò torniamo a voi e a Casarini. Tu dici: “rifarsi agli articoli de il Giornale, Libero o analoghi strumenti di Berlusconi non aiuta. Non aiuta, e personalmente ritengo un po’ indecoroso raccogliere e rimpallare la roba scritta da giornalisti la cui professionalità e deontologia si è ben dimostrata con il caso Boffo”. Certo. Quell’articolo termina indicando un tornaconto economico. Al tornaconto economico io non ho mai pensato. Piuttosto a un tornaconto di altro tipo, in termini, cioè, di potere: che non vuol dire ricchezza, ma ascendente sulle persone, prestigio, comando, visibilità. Sicuramente questo comporta anche maggior responsabilità (e rischi), ma il fatto di essere in cima alla piramide, di essere un leader, penso abbia i suoi vantaggi, chiamiamoli così, non solo in termini di appagamento narcisistico. Inoltre, avere un servizio d’ordine ben organizzato, a me desta sempre qualche perplessità.

Non penso che Casarini sia conservatore perché ha aperto partita IVA. Dice, nell’intervista alla Stampa, che lui resta dalla parte degli “sfruttati”, che in questo caso sono i piccoli imprenditori. Cioè la fetta di elettorato che Rifondazione si è fatta sfuggire e che è andata a ingrossare le fila della Lega (e quel che è ancor più triste, e lo dico davvero con profonda amarezza, è che anche buona parte della classe operaia ha lasciato un partito come Rifondazione, veleggiando verso destra). Se non sbaglio questo è un argomento che Massimo Cacciari tenta, da anni, di porre all’ordine del giorno. Una cosa mi ha incuriosito. Mettendo da parte Il Giornale, tenendo buona La Stampa, tu dici: “Se è vero che possa insorgere una certa perplessità e il chiedersi dove voglia arrivare a parare, è  anche chiaro che due mesi di partita IVA non sono sufficienti per cambiare mentalità. Evidentemente, l’apertura di questa, era strumentale per lanciare un certo tipo di iniziativa o, se si vuole, battaglia. (…) Non vengono abbandonate le tradizionali analisi e terreni di lotta, piuttosto si cerca di allargarne il respiro”. Perché un giornale come Il Manifesto non ha dato risonanza alla notizia? Non credo siano insensibili o poco attenti. Non è che forse la scelta di Casarini (nell’intervista alla Stampa, le risposte che offre sono in effetti un tantino naïf: “Ma io vorrei sapere anche dove vanno, i nostri soldi. A finanziare le guerre? Io non ci sto”) abbia creato un po’ d’imbarazzo? E così la sua scelta di manifestare con “Veneto Nostro – Raixe Venete” (“I veneti siano finalmente quello che sono – spiega – senza il peso di culture ‘altre’ come quella romana o lombarda, che poco c’entrano con la nostra indole” ripresa dall’articolo del Gazzettino, dal post La Lega Sinistra bis)?

Tu dici: “Casarini è solo un portavoce, assieme ad altri, di quello che è stato chiamato movimento «no-global» (movimento che nel frattempo ha subito della trasformazioni, chiederebbe di essere chiamato in maniera diversa, ecc. ecc.), in particolare rappresenta i «centri sociali del nordest» (la definizione, dal punto di vista letterale, non è corretta perchè nel nordest esiste almeno un altro importante schieramento rappresentato, per rimanere a Padova, dal C.S.O. Gramigna) aderenti all’area dei disubbidienti. E’ un militante tra i tanti, in grado di essere a suo agio nel confrontarsi con i mass media, che si è reso disponibile a espletare questo ruolo. Tutto qui. Non è l’ispiratore, la testa pensante di questo movimento, dà semplicemente il suo contributo di riflessioni, come tanti altri, e di sicuro le sue non sono quelle che hanno il maggior peso, pur avendo una certa autorevolezza per il gran lavoro (che poi vedremo) che fa”. Certo. Da quest’ultimo passaggio viene da chiedersi, visto che non è lui l’ispiratore e non è la testa pensante del movimento e il suo contributo di riflessioni non è nemmeno quello che ha maggior peso, perché sia stato scelto lui come portavoce. Perché si è offerto? Non penso sia sufficiente. E non penso nemmeno che chi organizza il movimento sia così ingenuo. Vuol dire che ha caratteristiche che si confanno al ruolo. E cioè? Capacità comunicative, visto che “portavoce” è definito da DEVOTO, OLI, Dizionario della lingua italiana, “Persona che si incarica di riferire i punti di vista o le opinioni altrui. Incaricato di esporre al pubblico, spec. mediante i mass media, il pensiero o l’operato di un organo o di un’autorità responsabile”. Dunque, di quali capacità comunicative? Tu dici “(Casarini) è una persona che non si limita a disquisire ma si impegna a fare, anche se questo comporta essere considerato un pagliaccio. E’ disposto ad avere un ruolo pubblico, nell’unico modo che ci viene concesso per non essere invisibili, con i riflettori che non verranno puntati sulle cose che portiamo avanti, ma solo per illuminarci se saremo disposti a fare delle boutades in cui verremo coperti di merda. Visibili in questo modo è comunque meglio che invisibili, per chi avrà la voglia, e l’intelligenza accompagnata dall’umiltà, di non fermarsi alla superficie”. Quindi Casarini non comunica attraverso disquisizioni, ma attraverso boutade, provocazioni e, mi vien da pensare, attraverso il suo viso e il suo corpo, attraverso i suoi comportamenti e i suoi atteggiamenti. Attraverso la sua immagine. La società dello spettacolo di Guy Debord è stato scritto nel 1967. I Commentari alla società dello spettacolo è stato scritto, sempre da Debord, nel 1988. Sono passati quasi 43 anni in un caso e quasi 22 anni nell’altro. Lo scambio simbolico e la morte di Jean Baudrillard è un libro del 1976, cioè di quasi 34 anni fa. Le teorizzazioni dei francofortesi sono degli anni ’20-‘30. La tv è stata introdotta in Italia nel 1954. Apocalittici e integrati di Umberto Eco è un libro del 1964. Si potrebbe andare avanti per pagine. O per ore. Molti dei pensieri contenuti in questi testi sono ormai, più o meno consapevolmente, nel linguaggio comune. Dovrebbe essere risaputo, dunque, che a voler entrare nella società dello spettacolo, fatta di simulacri e finzioni, si corre il rischio, pericolosissimo, di esserne fagocitati e peggio, di veder fagocitate le cose, anche importanti, fatte, dalla propria immagine. Soprattutto se, proprio alle regole di spettacolarizzazione, si cede qualsiasi “messaggio”. La solita frase di McLuhan “Il medium è il messaggio”, calza alla perfezione. Ancor di più quando la comunicazione getta via la disquisizione e si riduce a provocazione, che prima ancora che con la testa, viene recepita con la pancia. Chi punta al “sentire” invece che al pensare? Alla “pancia” invece che alla ragione, oggi? La Lega. Berlusconi. Berlusconi, proprio del populismo da budella, ha fatto il suo impero. E, ahimè, anche Casarini. Tu conosci la persona Casarini (dici di conoscerlo da anni, di esser suo amico). Bene. Io conosco il personaggio Casarini. Che poi è quello che conosce la maggior parte degli italiani. Tu mi chiedi: “Conosci così bene Casarini?”. No. Infatti io non ho mai parlato della persona. Anzi, ho anche detto che magari in compagnia è un ragazzo divertente, intelligente (tu che sei suo amico puoi confermarlo o negarlo). Ma il Casarini che si fa intervistare da La Stampa, che fa il portavoce, è il Casarini pubblico, il Casarini personaggio. Che non può che essere costruito. Quindi, dato che un personaggio pubblico, a maggior ragione uno che come attività principale svolge quella di portavoce, quindi di colui che ha a che fare coi mass media, deve “costruire la propria immagine” (e Casarini, a meno che non sia un ingenuo, ne è consapevole), deve anche decidere come comunicare. Comunicare per boutade e provocazioni è sempre un modo di considerare il popolo come una mandria di buoi. Inoltre è aberrante poiché fa fuori le sfumature e cede il passo a un linguaggio che è quello parlato dalla tv, dalla pubblicità, dallo stesso Berlusconi. Quando si dice che il problema non è solo Berlusconi ma il berlusconismo (Giorgio Gaber: “non temo Berlusconi, ma il Berlusconi che c’è dentro di me”), l’aver assoggettato gli italiani (che gli sono complici!) a una narcosi trentennale (prima solo coi media, poi anche con la sua presenza in politica), significa che scomparso lui, il problema rimarrà nelle teste, disabituate a pensare, e nelle pance, abituate a sentire, degli italiani. Pier Paolo Pasolini in Il «Discorso» dei capelli (7 gennaio 1973) dice: “Una decina d’anni fa, pensavo, tra noi della generazione precedente, un provocatore era quasi inconcepibile (se non a patto fosse un grandissimo attore): infatti la sua sottocultura si sarebbe distinta, anche fisicamente, dalla nostra cultura. L’avremmo conosciuto dagli occhi, dal naso, dai capelli! L’avremmo subito smascherato, e gli avremmo dato subito la lezione che meritava. Ora questo non è più possibile. Nessuno mai al mondo potrebbe distinguere dalla presenza fisica un rivoluzionario da un provocatore. Destra e sinistra si sono fisicamente fuse”. E ancora: “Concludo amaramente. Le maschere ripugnanti che i giovani si mettono sulla faccia, rendendosi laidi come vecchie puttane di una ingiusta iconografia, ricreano oggettivamente sulle loro fisionomie ciò che essi solo verbalmente hanno condannato per sempre. Sono saltate fuori le vecchie facce da preti, da giudici, da ufficiali, da anarchici fasulli, da impiegati buffoni, da Azzeccagarbugli, da Don Ferrante, da mercenari, da imbroglioni, da benpensanti teppisti. Cioè la condanna radicale e indiscriminata che essi hanno pronunciato contro i loro padri –  che sono la storia in evoluzione e la cultura precedente – alzando contro di essi una barriera insormontabile, ha finito con l’isolarli, impedendo loro, coi loro padri, un rapporto dialettico. Ora, solo attraverso tale rapporto dialettico – sia pur drammatico ed estremizzato – essi avrebbero potuto avere reale coscienza storica di sé, e andare avanti, superare i padri. Invece l’isolamento in cui si sono chiusi – come in un mondo a parte, in un ghetto riservato alla gioventù – li ha tenuti fermi alla loro insopprimibile realtà storica: e ciò ha implicato – fatalmente –  un regresso. Essi sono in realtà andati più indietro dei loro padri, risuscitando nella loro anima terrori e conformismi e, nel loro aspetto fisico, convenzionalità e miserie che parevano superate per sempre. (…) È giunto il momento che essi stessi se ne accorgano, e si liberino da questa loro ansia colpevole di attenersi all’ordine degradante dell’orda”. Dice ancora Pasolini in Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo (24 giugno 1974): “Sanno (coloro che conoscono la semiologia) che la cultura produce dei codici; che i codici producono il comportamento; che il comportamento è un linguaggio; e che in un momento storico in cui il linguaggio verbale è tutto convenzionale e sterilizzato (tecnicizzato) il linguaggio del comportamento (fisico e mimico) assume una decisiva importanza. (…) Mi sembra che ci siano delle buone ragioni per sostenere che la cultura di una nazione (nella fattispecie l’Italia) è oggi espressa soprattutto attraverso il linguaggio del comportamento, o linguaggio fisico, più un certo quantitativo – completamente convenzionalizzato e estremamente povero – di linguaggio verbale”. Poi in Ampliamento del «bozzetto» sulla rivoluzione antropologica in Italia (11 luglio 1974), Pasolini continua: “Il tipo di uomo o di donna che conta, che è moderno, che è da imitare e da realizzare, non è descritto o decantato: è rappresentato! Il linguaggio della televisione è per sua natura il linguaggio fisico-mimico, il linguaggio del comportamento. Che viene dunque mimato di sana pianta, senza mediazioni, nel linguaggio fisico-mimico e nel linguaggio del comportamento nella realtà. (…) Appunto perché perfettamente pragmatica, la propaganda televisiva rappresenta il momento qualunquistico della nuova ideologia edonistica del consumo: e quindi è enormemente efficace”. Infine, in Analisi linguistica di uno slogan (17 maggio 1973), Pasolini dice: “Lo slogan infatti deve essere espressivo, per impressionare e convincere. Ma la sua espressività è mostruosa perché diviene immediatamente stereotipata, e si fissa in una rigidità che è proprio il contrario dell’espressività, che è eternamente cangiante, si offre a un’interpretazione infinita. La finta espressività dello slogan è così la punta massima della nuova lingua tecnica che sostituisce la lingua umanistica. Essa è il simbolo della vita linguistica del futuro, cioè di un mondo inespressivo, senza particolarismi e diversità di culture, prettamente acculturato e omologato. Di un mondo che a noi, ultimi depositari di una visione molteplice, magmatica, religiosa e razionale della vita, appare come un mondo di morte”. (Tutti i brani citati in P. P. PASOLINI, Scritti corsari, Garzanti, Milano, 2001). Tutti gli esempi portati da Pasolini sono esempi di comunicazione non dialettica, ma provocatoria. La provocazione, la boutade, esaurisce in sé la comunicazione, non permette discussione sulla “cosa” in sé (tu stesso dici, che dall’intervista alla Stampa si ricava che “l’apertura di questa (partita IVA), era strumentale per lanciare un certo tipo di iniziativa o, se si vuole, battaglia”). Il guaio è che questo tipo di approccio ingloba e fagocita tutto quello che voi (con Ya Basta, con Razzismo Stop, ecc. ) di importante fate. Ciò che viene ricordato è: Casarini che provoca. Per questo motivo, per l’ambivalenza nell’uso dei media, io non posso (e non voglio) considerare Casarini un interlocutore credibile. Perché usa la medesima via di comunicazione dell’ordine orrendo. E io non voglio essere assoggettata tra le schiere di un popolo-bue. Perché offende la mia intelligenza. E in un periodo tanto sentimentale (paure, pulsioni, istinti, eccitazioni), io spero l’illuminismo non sia passato invano. Non credo sia una giustificazione plausibile affermare che altrimenti non si otterrebbe visibilità. Non credo all’equazione visibilità uguale esistenza. Bisogna uscire dall’ambiguità se non si vuole entrare nello stesso sistema comunicativo, aberrante, della destra imperante – con tanti e definitivi saluti alla benemerita egemonia culturale della sinistra.

Ti porto un esempio. Qualche anno fa compare sui giornali una certa Lisa Dalla Via. È una ragazza Toscana, che vive a Padova, frequenta il Pedro e dice di essere impegnata politicamente (ogni tanto, nelle interviste che rilascia, parla di manifestazioni a cui ha partecipato, del suo impegno politico che, però, non specifica mai in quali termini venga assolto). Comunque Dalla Via finisce sui giornali non per il suo impegno politico ma perché con un gruppo di amiche fa spettacoli di lap dance sul metrò milanese. Poi, conquistata un po’ di visibilità, decide di partecipare alle selezioni di una delle tante edizioni del Grande Fratello. Quando un giornalista le domanda le ragioni della sua scelta (son articoli che si trovano su Il mattino di Padova a fine 2006 – inizio 2007), lei risponde affermando che grazie a quel tipo di visibilità (un po’ provocatoria) può portare avanti un suo, non meglio specificato, “discorso politico”. Non viene presa. Lei dice “Perché hanno avuto paura”. Paura di cosa? Lei lascia intendere: del fatto di frequentare un centro sociale ed essere impegnata politicamente. Per queste sue scelte spende qualche parola anche Max Gallob (“Non posso parlare – spiega il leader del Pedro – dirò tra qualche giorno il perché”, e il giornalista dell’Espresso dice: “Forse non vuole che l’attività del centro sociale finisca nel calderone mediatico deflagrato all’improvviso? Ma soprattutto deflagrato per caso?” – 07 dicembre 2006). Allora, all’epoca, mi son chiesta: “Ma Gallob spende parole per tutti i ragazzi o le ragazze che frequentano il Pedro e fanno scelte magari non proprio in linea con quelle del centro sociale?”. Su qualche giornale era uscita la notizia che la ragazza era la fidanzata di Gallob. La ragazza non smentì né confermò. Per me, quindi, questo rimane un pettegolezzo e francamente mi interessa poco sapere cosa fossero i due uno per l’altra. Mi interessa di più sapere, invece, perché Gallob si sia speso, anche dicendo solo due parole – che, però, non sono state: “Perché venite a chiedere a me delle scelte di questa ragazza? Saranno affari suoi. Se fa la lap dance dentro al metrò o partecipa al Grande Fratello, saranno ben fatti suoi. Perché intervistate me?”. Questa a me pareva la risposta più sensata. Ma probabilmente sia Max Gallob, sia il giornalista dell’Espresso sanno a menadito che razza di circo siano la tv e il mondo dei media. Ora di Lisa Dalla Via sappiamo che ha partecipato a Lucignolo su Italia 1, ha fatto un calendario sexy, si è fidanzata con un imprenditore torinese. Probabilmente l’impegno politico non era tra le sue priorità. Ma prima di tutto ciò, ancora nel 2006 lei non veniva ricordata come “ragazza pisana, barista per mantenersi, studentessa a Padova, frequentatrice del Pedro e del collettivo di Scienze Politiche”, ma come “ballerina di lap dance sul metrò milanese”. Certo quella era l’immagine più vendibile, più spendibile per aver successo e visibilità. Con ogni probabilità lei ha anche facilitato l’attenzione su quella più che su “meno visibili” qualità intellettuali. In ogni modo ciò mostra bene come tv e media azzerino tutto per lasciare soltanto un dato: quello più visibile, quello più spendibile. Se una donna parla in pubblico in guêpière, magari dirà anche cose geniali ma quello che passerà sarà che era una donna in guêpière (e magari, visto l’inveterato maschilismo in cui siamo immersi, quello potrebbe anche essere uno dei modi per ottenere più attenzione). Questo per dire che la comunicazione provocatoria, di pancia, è sempre mostruosa. Io non ho voglia di vedere altri uomini al balcone che aizzano folle. Ci siamo già passati. Tragicamente. E, per altre vie, ci stiamo passando di nuovo. Abbiamo proprio bisogno di aggiungere un altro provocatore ai tanti provocatori che ci ammorbano? Perché non provare a cambiare frame, come direbbe Lakoff, e comunicare su un piano differente?

Un’ultima cosa. Tu dici: “Mi verrebbe voglia di risponderti in maniera secca e drastica, non lo faccio perchè io preferisco mantenere una certa confidenza con il “dubbio” e a tuo beneficio vanno le ottime recensioni cinematografiche ed altri interventi dotati di maggior equilibrio, senza dimenticarmi che volendo bene ad Umberto, che stimo, c’è da sperare che anche tu abbia analogo spessore”. Mah. Senza dimenticarti che volendo bene a Umberto, che stimi, c’è da sperare che anch’io abbia un analogo spessore? Fammi capire, tu hai bisogno di qualcuno che garantisca per me? Cosa dovrei risponderti io? Siccome sei amico di Umberto mi auguro tu sia in grado di comprendere questo ragionamento e sia intelligente almeno quanto lui? Stai scherzando, vero? Io mi auguro invece, di non dovermi trovar di fronte a un appartenente all’ennesimo gruppuscolo settario, nel quale si entra o si discute solo tramite garanzia terzi e che dunque riporta la medesima mentalità in qualsiasi piano relazionale. Una volta, proprio qua a Padova, una ragazza mi disse se andavo con lei a un incontro con altre persone, dove si sarebbe discusso di tematiche che ci stavano a cuore. Poi mi disse “Tranquilla, garantisco io per te”. Io devo averla guardata sbalordita. Non andavamo in banca ad accendere un mutuo. Lei non era un membro della Sacra Corona Unita, di un clan di camorristi o di mafiosi. Massoneria? Nemmeno. “Tranquilla, garantisco io per te. Ho detto che sei una di noi”. A quel punto mi è venuto in mente un vecchio film di Todd Browning, Freaks, in cui i protagonisti a un certo punto si mettono a cantare “We accept her! One of us! We accept her! One of us! Gooble gobble, gooble gobble! We accept her! We accept her!”. Il film appartiene al genere horror/grottesco. A quel punto ho preferito evitare l’iniziazione. Anni dopo, diversi amici, mi hanno raccontato rapporti di forza e giochi di potere simili all’interno di medesimi gruppuscoli settari. Ecco, mi auguro proprio tu non abbia avuto esperienze simili e che quella frase fosse semplicemente una frase un po’ infelice, e non il sedimento di un consolidato modus vivendi. Ma confido nel buon senso.

Saluti

Gioia

 

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