Al lavoro

19 giugno 2009

dalle undici del mattino all’una di notte, sveglio tardissimo e completamente svuotato benché smanettando e montando e monitorando le immagini sopra le teste di spalle, avessi la zucca in ebollizione, il sibilo in petto e quel clangore di martelletto, coperchio che batte, fischietto di pirex. Taccuino: scrivo: mi accorgo di aver pensieri, talora giudizi, anche se spesso me ne dimentico e, allorché mi venga posta una domanda diretta, facciano il nulla come la folla dopo lo sparo – il malcapitato per terra (ieri l’altro a Napoli, ancora una volta). Per esempio alla Biennale, sfilando attraverso i giardini, gli occhi grondanti e i talloni piombati – la Djurberg che ha vinto l’argento, Nathalie, in effetti: bellissima – dicevo a Gioia che mi conduceva: il Padiglione Italia sta all’arte contemporanea come la bigiotteria ai gioielli o alla mano di un buon orefice. Lei che l’aveva trovato imbarazzante e, voluto o meno, beatamente dilettantesco, scrivendo un messaggio al suo grande capo, chiedeva: ti posso usare?, mi sembra perfetto.

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