La prima cosa bella di Paolo Virzì con Micaela Ramazzotti, Stefania Sandrelli, Valerio Mastandrea, Claudia Pandolfi, Marco Messeri, Fabrizia Sacchi

Spassoso e commuovente, La prima cosa bella è un piccolo gioiello che rinverdisce i fasti della commedia all’italiana e, con ogni probabilità, il miglior film di Paolo Virzì.

Bruno, insegnante quarantenne in perenne crisi, torna a Livorno, suo paese d’origine, per rivedere Anna, la madre, gravemente malata. I ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza, dominati dall’ingombrante presenza materna, delineano i tratti di una donna coraggiosa e fragile, candida e vitale, vittima della sua entusiastica fiducia nel prossimo e dei pregiudizi dei maligni: troppo bella e ingenua per non essere facile preda di maliziosi approfittatori e naturale bersaglio di pettegolezzi di quartiere. Con levità mai scalfita dagli eventi, Anna si prende cura dei figli, tentando di preservarli dai traumi dovuti all’abbandono del padre, ai continui cambi d’alloggio, all’instabilità della situazione. I figli, una volta cresciuti, risultano assai più deboli – in particolare Bruno – e frustrati della madre. Oppressi, in gioventù, da troppo amore e dall’incombente precarietà, in età adulta rinunciano, per viltà e insicurezza, a “vivere”: Valeria, la sorella più giovane, bloccata nella routine di un matrimonio senza slanci, nasconde l’innamoramento per il suo datore di lavoro; Bruno, insegnante di liceo, ha perduto la passione per la scrittura, per la compagna e per la sua stessa esistenza. Sarà ancora una volta la madre, benché in punto di morte, a infondere a entrambi un impulso vitale.

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piatto, sputo (bis)

29 gennaio 2010

Eppure in quella frase, a parte l’invidia, della quale mia sorella che l’aveva incontrato in tram – ce l’ha proprio a morte con Saviano! – ovvimente sorrideva, percepivo molto più che estemporanei accessi di esasperazione dovuti al reiterato parallelo – ah, come Saviano, allora! – che immaginavo Angelo dovesse sorbirsi ogniqualvolta facesse cenno al contenuto del suo romanzo.

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gioia on: Nine

28 gennaio 2010

Nine di Rob Marshall con Daniel Day-Lewis, Marion Cotillard, Penélope Cruz, Nicole Kidman, Judi Dench, Sophia Loren, Kate Hudson, Stacy Ferguson

Adattamento cinematografico dell’omonimo musical, da anni in replica a Broadway, Nine è liberamente – e pericolosamente – ispirato a 8 ½ (1963) di Federico Fellini, capolavoro tra i capolavori, probabilmente il film più importante della storia del cinema – la contesa per il gradino più alto del podio è con Quarto potere (Citizen Kane, 1941) di Orson Welles.

Difficile evitare i confronti, anche perché l’intreccio segue in maniera piuttosto pedissequa la pellicola dell’autore riminese: in procinto di girare un nuovo film, Guido, regista affermato, deve affrontare una profonda crisi esistenziale che si ripercuote sul suo lavoro e sulla sua vita privata. Ma se in 8 ½ il canovaccio offriva lo spunto per indagare l’insicurezza e la debolezza dell’uomo, riflettere sulla creazione artistica come atto vitale, sull’imperfezione come stato costante dell’essere umano, sui legami come vincolo soffocante e, al contempo, risorsa insostituibile, sulla condizione della società italiana, influenzata dalla Chiesa, da certa intellighenzia borghese, dal provincialismo dei nuovi arricchiti, in Nine il canovaccio è il film.

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piatto, sputo

27 gennaio 2010

Saviano sputa nel piatto in cui ha mangiato. Così Angelo, il nuovo coinquilino, prendendo un caffè con mamma Cirri e Loredana, venute a darmi un mano con la riorganizzazione del garage e a fare le pulizie in camera. Non è la prima volta che sento questa frase. Che la sento qui e non alla televisione, voglio dire, da allegri bambini morti alcune centinaia di chilometri fa, fra Casal di Principe e qualche altro infernale girone partenopeo.

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dalle due alle quattro

23 gennaio 2010

Dovendo lavorare alle 15.00 il tempo solennemente programmato per fare la cosa era dalle 10.00 alle 14.30, ma usciamo di casa che le dieci son già rintoccate e per di più accompagnando Gioia in ufficio, facendo pausa al bar, le sclero. Volevo mangiasse una brioche, perché continua a dimagrire e benché la sera, in mia compagnia, sgranocchi un po’ di pane formaggio e affettati (dipenderà da quest’insistenza su latticini e insaccati, il bruciore che da un po’ m’attorciglia) difficilmente durante il giorno mette sotto i denti qualcosa. Quella lì, faccio io. Bah, fa lei. E’ vuota, faccio. Bah, fa. E’ mignon. Bah. Non ha nemmeno lo zucchero a velo. Non mangio mai la brioche al mattino, dice. Come sarebbe? Mi hai mai visto mangiare una brioche al mattino? E i bignè di Graziati, allora? Bah. Bah, cosa, se permetti? Non sono brioches. Come non sono brioches? I bignè non sono brioches, le brioches sono pesanti, piene di burro idrogenati e schifezze polinsature e io qui di bignè non ne vedo, non ci sono bignè in questo bar, vedi per caso bignè?, io non ne vedo, sono forse bignè quelli?, a me non pare, in questo bar non espongono bignè ma solo ed esclusivamente brioches (punto).

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sei e dieci/sette e venti

21 gennaio 2010

Libero dal lavoro, il tempo solennemente programmato per fare la cosa sarebbe stato dalle 14.00 alle 19.00. Cinque ore, quindi – niente male – malgrado la proiezione delle filmine di Melies con musica dal vivo al centro culturale San Gaetano insieme alla mamma e lo zio, il pagamento di assicurazione e bollette, l’acquisto un libro per l’amica di Gioia che avremmo visto l’indomani in tarda sera, la delibazione di un sandwich alla porchetta sotto il Palazzo della Ragione (il tram poi ha le sue durate), avesse comportato una prevedibile erosione. Alle 15.00, però, arrivato a casa, avvitata la moca, acceso il computer – ci mette dieci minuti buoni – fatto laborioso capolino al cesso, versato in tazza il caffè, infilato il giaccone imbottito perché avevo un freddo cane, mi sono sentito, chissà come mai, esausto. Sicché, vestito a festa, poiché alla mattinata con la mamma e lo zio mi ero messo in testa di tenerci (ho anche promesso loro la visione in 3d e schermo enorme di Avatar), ruvidamente incappottato, mi sono buttato sul letto.

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marco candida

17 gennaio 2010

ha scritto un brano che, specie nella parte conclusiva, mi ha molto colpito e ho sentito, umanamente ed esistenzialmente, molto vicino. Lo linko con affetto e piacere; si intitola: Senso e significatività.

In questi giorni per un motivo o per l’altro mi par di non fare altro che correre, e il niente o quasi che avanza per leggere e scrivere cerco di spenderlo sopra un testo iniziato nel 2006 del quale una porzione è apparsa nel volume collettaneo a cura di Romolo Bugaro e Marco Franzoso I nuovi sentimenti (Marsilio) non ricordo più con quale titolo. La versione credo definitiva di quel brano, nel mio computer, è intitolata L’esonero. Per mettere insieme ciò che ne dovrebbe costituire l’elaborazione continuo a scandagliare diari taccuini foglietti post-it, e così facendo, di tanto in tanto, mi capita di rinvenire frammenti dimenticati che, pur non avendo nessuna attinenza con ciò di cui vado o credo di andare in cerca, quasi mi ipnotizzano.

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jesub-

13 gennaio 2010

Berlusconi! Fai Gesù! Non sprecare l’occasione! Non sprecare ancora un’altra occasione. Non capisci? Tu solo puoi. Tu solamente. Per come sei. Non sarebbe stato possibile altrimenti. Così come sei. Solo tu puoi. Fallo, per carità di Dio. Smettila di simulare e fallo. Fai la cosa per cui sei. Fai la cosa! Fai Gesù. Vai dai poveri. Vai dai mafiosi. Vai dai derelitti e dai corrotti, vai dove c’è malattia, vai dove c’è astinenza, vai dove c’è fame, vai dove c’è dolore, vai dove c’è bisogno, dove necessità regna, dove malaffare signoreggia, dove violenza gode, dove stupro è legge, porta l’amore, porta l’amore, porta la forza sovversiva dell’amore e fai ciò che tu solo puoi fare, ciò che solo a te è dato fare, porta un’atomica d’amore, fai dell’universo un olocausto d’amore. Non sprecare, non sporcare ancora un’ennesima occasione. Dicono di te che sei idiota, ma non è vero. Dicono di te che sei un genio, ma non è vero. Smonta dalla macchina con la faccia spaccata. Smonta dalla macchina. Smonta e cammina.

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2009

Da capodanno a oggi è passato veloce e bene se non altro con Gioia che dopo avermi confessato – fra natale e capod’anno – di non avere un buon periodo grosso modo dalla visita agli Archi Di Luce e al Palazzo Che Si Torce – tre settimane, le ho detto;  tre settimane cosa? Tre settimane orsòno, dico, da quando siamo andati a veder gli Archi: ricordi? E lei per tutta risposta è scoppiata a piangere – sembra avere avuto un ritorno amoroso in grande stile. Bene! La recessione natalizia, forse la più acuta da quando stiamo insieme – cosa sarà stato a generarla?, forse l’aver realizzato che il viaggio in Francia con ogni probabilità andrà a farsi benedire?, e com’è, allora, che stava tirandosi giù alberghi prezzi e prenotazioni da fissare entro un mese, ha detto (volendo far le cose per bene), per Cannes? Non è un po’ troppo presto?: la volta scorsa, per Cannes, aveva prenotato in febbraio, se non ricordo male…

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